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Cloud: elaborazione dati e migrazione applicazioni

Cloud: elaborazione dati e migrazione applicazioni

Migrare in cloud le proprie applicazioni può sembrare una mission impossible

Migrare in cloud le proprie applicazioni può sembrare una mission impossible ma, seguite appropriatamente, tutte le aziende possono fare il salto che potrebbe cambiare e facilitare la loro la vita

Sfruttando l’occasione dell’entrata in vigore del GDPR, molte aziende italiane, hanno cambiato il modo in cui elaborano i dati dei loro cliente, migrando le proprie applicazioni, in parte o per la totalità, in cloud.

In realtà, non è una novità degli ultimissimi mesi: secondo i dati di Anitec-Assinform, già nel 2017 le aziende hanno investito nel cloud computing aumentando la spesa relativa del 23,3%; trascinate dalle le imprese più piccole e flessibili e seguite successivamente anche dalle grandi aziende che hanno decentralizzato i carichi di lavoro spostandoli gradualmente in cloud.
Ma con l’arrivo del nuovo GDPR molte altre aziende, a prescindere dalle dimensioni, hanno iniziato ad avvicinarsi al cloud, sia nella declinazione Saas, che per quel che riguarda l’adozione di infrastrutture come server virtuali, grazie anche a provider come Aruba.

Quest’ultima offre supporto e documentazioni necessari per mettersi in regola con il gdpr, ma fornisce anche le procedure, i protocolli e le infrastrutture necessarie ripristinare tempestivamente le funzionalità di un sito o un servizio allo stato originario.

Infatti con la nuova normativa mantenere al sicuro i propri dati in caso di eventi imprevedibili non è più facoltativo, ma un requisito da soddisfare per legge. La norma impone infatti che le aziende soggette al regolamento abbiano la “capacità di ripristinare tempestivamente la disponibilità e l’accesso dei dati in caso di incidente fisico o tecnico”.

Quindi, interpretando letteralmente la norma non esistono scuse: che si tratti di un semplice calo di tensione a malapena sufficiente a mettere fuori uso un paio di server, di una distrazione umana o perfino di un incendio o un terremoto, i dati custoditi dalle aziende e i servizi che offrono devono rimanere sempre reperibili e protetti.

Per questo i provider devono essere preparati alle peggiori evenienze, ovvero a permettere la ripartenza delle operazioni in un luogo secondario rispetto a quello coinvolto dall’evento. In questo senso Aruba può contare su tre data center di proprietà posizionati in territorio italiano più altri diffusi sul territorio europeo, il che dà al cliente la possibilità di replicare i propri dati all’interno di più infrastrutture, mantenendo vicino a sé e ai propri clienti la copia principale ma rimanendo sicuro che in caso di eventi catastrofici gli inconvenienti saranno minimi e i servizi saranno ripristinati in tempi rapidi.

E dal momento che ogni azienda è diversa e ha esigenze differenti, la migrazione delle relative attività in cloud segue percorsi unici, che si tratti di una migrazione marginale o totale. Il tratto che tutte hanno in comune è uno: a nessuna va a genio l’idea che il processo possa andare storto: che le tempistiche preventivate si dilatino, che l’infrastruttura non possa effettivamente essere replicata in cloud o che un incidente di qualunque tipo provochi la perdita dei dati fino a quel momento custoditi on premise. Per questo Aruba offre consulenza a quanti sono interessati a progetti di DR e Business Continuity

Secondo l’Head of Engineering dell’azienda, Lorenzo Giuntini, la grande migrazione verso il cloud delle aziende italiane è insomma “un processo che è partito ormai qualche anno fa e si sta concretizzando” e Aruba ha tutta l’intenzione di facilitarlo.

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